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Lunedì 02 Gennaio 2017,
A poche ore dalla risoluzione adottata del Consiglio di sicurezza dell’Onu sulla tregua in Siria che «accoglie con soddisfazione e sostiene gli sforzi di Russia e Turchia per mettere fine alla violenza in Siria e avviare un processo politico» e «prende nota» dell’accordo concluso il 29 dicembre scorso -accordo firmato dal Governo di Damasco e da diversi gruppi armati, ad esclusione del Fronte al Nusra, affiliato ad al Qaida, e dello Stato islamico (Isis)-, il sangue è tornato a scorrere in Turchia. L’attentato al Reina Club della Istanbul europea che ha stroncato 39 persone -di cui 16 stranieri- e ne ha ferite 69, alcune delle quali sono gravi, ha, a modo dei terroristi islamici, suggellato il nuovo corso della politica estera di Recep Tayyip Erdogan: il tradimento degli estremisti islamici da parte del ‘sultano’, in nome del proprio consolidamento sullo scenario mediorientale e non solo, attraverso l’asse con la Russia di Vladimir Putin che ha comportato il capovolgimento della posizione turca in Siria. Sono lontani i tempi dell’Erdogan collaborazionista con l’Isis, e lo Stato Islamico presenta il conto. Secondo il Presidente, è stato il tentativo di «distruggere il morale» della Turchia e di «creare il caos colpendo in modo deliberato la pace e i civili». Una strage «odiosa», l’ha definita Erdogan, simile ad altre compiute in Turchia negli ultimi mesi. In effetti, gli avvertimenti al ‘sultano’ non erano mancati ed erano stati tempestivi. Il più chiaro era stato l’attentato del 28 giugno scorso con l’attentato all’aeroporto Ataturk di Istanbul, 47 morti e 200 feriti, dopo che tre terroristi armati con fucili d’assalto ed esplosivi legati al corpo sparano in modo indiscriminato prima di suicidarsi. Nessuna rivendicazione ma il Governo lo aveva attribuito a Isis. Il giorno prima, il 27 giugno, al Cremlino era arrivata, indirizzata al Presidente Vladimir Putin, una lettera firmata Recep Tayyip Erdogan, nella quale il Presidente turco esprimeva la disponibilità a risolvere la crisi diplomatica causata dall’abbattimento dell’aereo da combattimento russo Su-24 da parte di un jet F-16 turco nel novembre 2015. Da quel 28 giugno è stato un crescendo: da una parte Erdogan che, a tappe forzate, ha lavorato alla costruzione del suo nuovo rapporto con la Russia attraverso il quale ritagliarsi un ruolo di leader in Medio Oriente e nello scontro tra Russia e Occidente, e togliersi dai piedi il problema dei curdi e delle loro ambizioni all’indipendenza; dall’altra l’Isis e gli altri gruppi estremisti a cercare di colpire il ‘sultano’.