Lunedì 08 Marzo 2021, Ogni sistema di gestione punta all’autoconservazione di sé e dei propri ideali. Le democrazie, votate alla tolleranza e cogestione di differenti ideologie, rispecchiano la regola: accettiamo ogni ideale tranne quelli contrari al nostro. In alcune poleis greche era comune pratica, a partire dal V sec. ad Atene, un fenomeno di gestione dell’integrità ideologica e di stabilità politica. Ciò era chiamato ostracismo (da ostrakon, “coccio di vaso di terracotta” su cui venivano incisi i nomi di chi si voleva mettere sotto accusa) e comprendeva come pena l’allontanamento di dieci anni dalla città, senza perdere i diritti di cui godevano i cittadini liberi e senza punizioni pecuniarie. Si ostracizzava al fine di scongiurare i pericoli per la sicurezza dello stato. È inutile parlare della pretestuosità per eliminare avversari politici o personaggi pubblici invisi.
Oggi non è possibile in una società democratica. L’occidente, traumatizzato dai sistemi totalitaristi, non vede di buon occhio l’allontanamento fisico di una persona, oltretutto il sistema di condivisione mediatica e libera permette il contatto, locale e globale, anche al di fuori dei confini geopolitici, come, per esempio, nel caso di Julian Assange. In questo caso c’è un però: esiste sempre chi ha il potere di silenziare, seppure a distanza, chi non è ben visto da una parte della collettività. Non si parla solo del caso Trump, il quale è stato bloccato su Twitter, a seguito dell’invasione al Campidoglio americano, apparentemente fomentata dall’ex presidente, ma la lista si allunga sempre di più. Basti citare, ad esempio, l’attrice Gina Carano di The Mandalorian (2019, Disney+), allontanata dal cast per una serie di post antisemiti o razzisti in generale, e Johnny Depp, accusato di violenza domestica. Nessuno difende questi personaggi pubblici, che di certo avranno le loro colpe, ma, ritornando al concetto di autoconservazione ideologica, la democrazia non si allontana completamente da un totalitarismo. Se nella Germania nazista si perdeva il lavoro per essere ebrei, oggi questo accade se si è avversi alle loro culture o non si nutrono simpatie per alcune minoranze. Minoranza, oltretutto, è un concetto troppo ampio e dinamico per essere statisticamente catalogato. Di conseguenza, al fine di soddisfare i prerequisiti dell’essere democratici, pure le aziende finiscono in un sistema di scatole cinesi mentali, dove ogni scatola è identica all’altra ma sempre più macroscopica e meglio visibile. Abbiamo l’esempio della campagna della Coca Cola Company nei propri uffici di lavoro: try to be less white, “prova ad essere meno bianco”, come se si desse per scontato che l’essere bianchi sia automaticamente sinonimo di razzismo e bigottismo. Secondo il mio punto di vista è come dire che sono sempre le etnie africane o dell’Est Europa a commettere crimini minori come furti, rapine o spaccio. Quella della Coca Cola Company resta una scatola molto appetibile in tempi come questi, ma pur sempre una scatola e, a mio avviso, è molto dubbiosa l’efficacia di tal campagna sui rapporti in azienda fra persone di diverse etnie.
Tutti questi fenomeni vengono gergalmente raggruppati nel termine Cancel culture: una cultura nella quale, se la cosa non piace, viene rimossa ed allontanata. Anche l’azione della Disney nei confronti di Gina Carano è puro compiacimento nei confronti del pubblico spettatore: temendo un probabile calo di share, ha preferito prenderne le distanze per un fine economico e non di reale interesse nei confronti del problema (razzismo ed antisemitismo restano una problematica molto grave). Sempre nell’ambito cinematografico e televisivo risulta ancora più difficile fare commedia. Molti comici, infatti, si sentono oggi in difficoltà nello scegliere un soggetto delle loro battute, preoccupati per la possibilità di reazioni negative. A tal proposito si sono espressi attori britannici come Rowan Atkinson (Mr. Bean, Johnny English), definendo questo perbenismo un nuovo medioevo nell’era digitale, e John Cleese (Monty Python), che più volte si è espresso contrariato all’estrema correttezza politica presente nelle generazioni più piccole, offese da qualsiasi argomento causi loro instabilità emotiva e induca a voler censurare piuttosto che confrontare. Una censura, questa degli ultimi anni, definita sempre da Cleese, come preambolo di una distopia orwelliana.
Arduo dare una concreta definizione degli umori delle persone negli ultimi anni, sempre più sensibili nei confronti dei temi che stanno caratterizzando un momento di svincolo di questa era. Una sensibilità che però si sta dimostrando mal gestita, si passa da un eccesso all’opposto. Se fosse una partita di UNO, direi che qualcuno ha giocato la carta reverse: le regole non sono cambiate, è stato solo invertito l’ordine stabilito dei giocatori.
Edwin Rossi, 8 Marzo 2021
(editoriale)