In difesa degli impiegati pubblici. Pure quelli che fanno raccomandazioni

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Categoria: Societa' | Sabato 18 Novembre 2017, La macchina pubblica non attira di certo l’eccellenza (anche se la propaganda dice il contrario). Solitamente l’argomento è che chi è bravo non mette freni alla propria carriera lavorando nel settore pubblico, ma preferisce lavorare nel settore privato dove può fare più soldi e più bene. Ma visto che questo giudizio pare mosso da un certo astio, io preferisco dire che nel settore pubblico manca il processo di selezione naturale essenziale per liberarsi di chi è meno bravo a fare un determinato lavoro. Nel libero mercato, in effetti, se io sono bravo a fare una cosa, ottengo persone che mi pagano, e così continuo a fare quel lavoro. Però nel settore pubblico, le persone sono costrette a servirsi da me, quindi tornano sempre. Non è solo che è difficile licenziare le persone perché le leggi non sono abbastanza severe, ma manca proprio l’incentivo per farlo in chi dovrebbe farlo. Per esempio se un direttore di un ufficio pubblico avesse il potere di licenziare i dipendenti che reputa scarsi, che incentivo avrebbe a farlo? Finché non fanno danni seri, farsi carico del peso emotivo di un licenziamento, di una lite, anche solo di un rimprovero, è molto maggiore rispetto alla vaga idea che il pubblico è danneggiato dagli impiegati incompetenti. Il direttore di un’impresa privata invece sente il dolore dritto al portafogli, un dolore che spesso è considerato secondo solo a quello di un parto. Quindi negli uffici pubblici restano persone che non sono adatte a quel ruolo, e i colleghi più abili si trovano rallentati o costretti a farsi carico di queste persone.

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