Misure di prevenzione: una nuova ipotesi di indennizzo per il sorvegliato speciale

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Categoria: Cronaca Nera | Giovedì 07 Settembre 2017, La sentenza emessa in data 27.4.2017 e pubblicata in data 5.09.2017 dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite penali n. 40076/2017 interviene a chiarire l’ambito di applicazione dell’art. 75 co. 2 d.lgs 159/2011 (Codice Antimafia).
La decisione del Primo Presidente della Corte di Cassazione di rimettere alle Sezioni Unite la risoluzione della questione sulla rilevanza penale ex art. 75, comma 2, D. Lgs. n. 159/2011 della condotta di chi violi le prescrizioni “di vivere onestamente” e “di rispettare le leggi” imposte con la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza di cui all’art. 8 stesso decreto, interveniva a seguito della pubblicazione della sentenza della Grande Camera della Corte EDU (23 febbraio 2017, De Tommaso c. Italia), che condannava l’Italia per la violazione dell’art. 2 prot. 4 CEDU, per il ritenuto deficit di prevedibilità e tassatività della disciplina delle misure di prevenzione nella descrizione delle condotte idonee a essere prese in considerazione per la valutazione della pericolosità sociale del soggetto proposto alla misura.
Tale condanna non poteva che avere ripercussioni sull’ordinamento interno.
La sentenza in commento prende le mosse dal ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza della Corte d’Appello di Caltanissetta la quale confermava la responsabilità di un soggetto, per aver colpito e provocato lesioni ad un altro soggetto mentre si trovava sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, con obbligo di soggiorno, le cui condotte sono state sussunte nei delitti di violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale e di lesioni personali in continuazione tra loro.
In relazione al suddetto caso, la questione posta all’attenzione della Suprema Corte verte sul se la norma incriminatrice di cui all’art. 75 co. 2 del d..lgs 159/2011, che punisce la condotta di chi violi gli obblighi e le prescrizione imposte con la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza abbia ad oggetto anche le violazioni delle prescrizioni di “vivere onestamente e di rispettare le leggi.
Appare utile rammentare che tale misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza è disciplinata dagli artt. 6 e ss. del D.lgs. 159/2011 la quale, a norma del dettato di legge (art. 8) prescrive, in ogni caso, gli obblighi:
• di vivere onestamente,
• di rispettare le leggi,
• di non allontanarsi dalla dimora senza preventivo avviso all'autorità locale di pubblica sicurezza;
• di non associarsi abitualmente alle persone che hanno subito condanne e sono sottoposte a misure di prevenzione o di sicurezza,
• di non rincasare la sera più tardi e di non uscire la mattina più presto di una data ora e senza comprovata necessità e, comunque, senza averne data tempestiva notizia all'autorità locale di pubblica sicurezza,
• di non detenere e non portare armi, di non partecipare a pubbliche riunioni.
La questione sottoposta agli Ermellini trova la sua ragion d’essere nel rilievo che assume la definizione delle condotte prese in considerazione dall’art. 75 cit. per verificarne la conformità ai principi di tipicità della fattispecie penale nonché a quelli di precisione, determinatezza e tassatività delle norme incriminatrici, al fine di verificare la coerenza della giurisprudenza di legittimità (ex multis sent. C. Cost. n. 282/2010) – la quale costantemente, aveva ritenuto che la prescrizione di vivere onestamente rispettando le leggi integrasse il reato previsto dall’art. 75.2 d.lgs 159/2011 (già art. 9 L. 1423/1956) - con quanto osservato dalla Gran Camera di Strasburgo nella sent. CEDU De Tommaso c/ Italia, la quale ha espresso un giudizio fortemente critico sulla qualità della legge n. 1423/1956 (che, necessariamente si estende al d.lgs 159/2011 in quanto quest’ultimo recepisce i contenuti fondamentali della disciplina originaria).
I Giudici di Strasburgo, invero, hanno riconosciuto l’estrema vaghezza e genericità del contenuto delle prescrizioni imposte all’interessato di “vivere onestamente e rispettare le leggi”, non colmata neppure dalle precedenti pronunce della Corte Costituzionale italiana, intervenuta ad escludere tale vaghezza e genericità in primo luogo in ordine al principio dell’ honeste vivere il quale, “assume un contenuto più preciso se si considera tutto il contesto delle altre prescrizione della ex legge 1423/1956 risolvendosi nel dovere di adeguare la propria condotta ad un sistema di vita conforme al complesso delle suddette prescrizioni.”
In secondo luogo la Corte Costituzionale (ex multis sent. n. 282/2010) aveva altresì escluso l’indeterminatezza della prescrizione “rispettare le leggi” in quanto la stessa si riferisce al dovere imposto al sottoposto alla misura preventiva di rispettare “qualsiasi disposizione la cui inosservanza sia indice della già accertata pericolosità”; interpretazione che secondo la Corte di Strasburgo si risolve in un riferimento “aperto” all’intero sistema giuridico italiano.
Secondo la Corte EDU, inoltre, l’indeterminatezza delle espressioni in parola contrasta con il principio della qualità della legge, la quale deve essere accessibile alle persone interessate e prevedibile quanto ai suoi effetti, né al riguardo possa dirsi condivisibile – ad avviso della Corte – l’interpretazione fornita dalla Consulta che si è limitata a ritenere – nel bocciare la questione di legittimità costituzionale sollevata rispetto a tale ridetta questione – con specifico riferimento alla condotta richiesta al proposto – che essa consisterebbe nel “dovere imposto al prevenuto di rispettare tutte le norme a contenuto precettivo, che impongano cioè di tenere o non tenere una certa condotta; non soltanto le norme penali, dunque, ma qualsiasi disposizione la cui inosservanza sia ulteriore indice della già accertata pericolosità sociale”.
Una tale definizione, secondo la Corte di Strasburgo, si risolve in realtà, in un “illimitato richiamo all’intero ordinamento giuridico italiano, e non fornisce alcuna chiarificazione sulle norme specifiche la cui inosservanza dovrebbe essere considerata quale ulteriore indicazione del pericolo per la società rappresentato dall’interessato”.
Tutte criticità che la Suprema Corte italiana non ha potuto che far proprie e optare per una rilettura del diritto interno che sia aderente alla CEDU, pur attraverso il superamento della precedente giurisprudenza di legittimità.
Le Sezioni Unite, infatti, attraverso una sistematica interpretazione della norma portata dall’art. 75 del Codice Antimafia, forniscono una rilettura del diritto interno che sia aderente alla CEDU e subordinata al “prioritario compito di adottare una lettura costituzionalmente corretta”: così facendo, (finalmente) ammettono che “prescrizioni come il “vivere onestamente” e il “rispettare le leggi” non impongono comportamenti specifici ma contengono un mero ammonimento morale, la cui genericità e indeterminatezza dimostra l’assoluta inidoneità ad integrare il nucleo di una norma penale incriminatrice”.
Qui il ragionamento che la S.C. offre, risulta di assoluta di una spontaneità cristallina: tanto più il destinatario della norma penale è consapevole della condotta che gli venga prescritta, tanto più si può auspicare di indurlo ad “essere motivato dal diritto”.
L’incertezza della condotta vietata o ammessa, finisce con l’alienare il sorvegliato speciale poiché non è in condizione di conoscere e men che mai di prevedere le conseguenze della violazione di un precetto che tale non può essere definito per la sua assoluta genericità
La Corte, nell’accogliere il ricorso, così dichiarando d’ufficio l’immediata non punibilità ai sensi dell’art. 129 cpp, afferma il principio di diritto per cui “L’inosservanza delle prescrizioni generiche di vivere onestamente e rispettare le leggi, da parte del soggetto sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno, non integra la norma incriminatrice di cui all’art. 75, co. 2, del D. Lgs n. 159 del 2011. Essa può tuttavia, rilevare ai fini dell’eventuale aggravamento della misura di prevenzione personale”
Se già la Sentenza CEDU era da ritenere di assoluta rilevanza, quanto alle procedure di prevenzione future, come anche per quelle in corso, la pronuncia delle Sezioni Unite è certo destinata a riverberare i suoi effetti anche sulle misure di prevenzione di carattere patrimoniale, così come, d’altronde, ci si devono attendere una valanga di ricorsi anche per le misure già in essere o addirittura per quelle la cui durata si sia esaurita, ciò specie fino a quando, l’ordinamento italiano non si doterà di uno strumento indennitario interno che possa ristorare coloro i quali siano stati colpiti dalla genericità della norma e ritenuti “colpevoli” di un delitto che ormai è da ritenersi inesistente (nullum crimen, nulla poena sine lege).
Gli Ermellini infatti, muovendo dall’assunto circa “l’assoluta inconfigurabilità del reato contemplato dall’art. 75” si sono spinti fino al punto di ritenere l’assoluta superfluità di un ulteriore vaglio di legittimità ad opera della Corte Costituzionale.
Se le cose stanno cosi – e non sembra che se ne possa dubitare – la sentenza in commento ben può essere ritenuta come la massima esaltazione del principio illuministico sancito nell’art. 25 Cost, oltre che faro per i Giudici chiamati ad applicare la richiesta misura di prevenzione.
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