presupposti degli avvisi di accertamento per i casi di discrepanza tra la dichiarazione del contribuente e lo studio ste

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Categoria: Fisco e Tasse | Venerdì 27 Aprile 2018, La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 8238/2018 dello scorso 4 aprile, in materia tributaria, è intervenuta sulla dibattuta questione degli studi di settore ed in particolare sui presupposti degli avvisi di accertamento per i casi di discrepanza tra la dichiarazione del contribuente e lo studio stesso.
Al fine di meglio comprendere la posizione assunta dalla Suprema Corte, si ritiene opportuno partire dalla nozione stessa di Studio di Settore e dalla sua disciplina. Gli studi di settore, sono uno strumento che il fisco italiano utilizza per rilevare i parametri fondamentali di liberi professionisti, lavoratori autonomi e imprese. La parte principale consiste nella raccolta sistematica dei dati che caratterizzano l'attività e il contesto economico in cui opera l'impresa, allo scopo di valutare la sua capacità reale di produrre reddito e sono impiegati per l'accertamento induttivo degli esercenti arti, professioni ed imprese. La disciplina degli studi di settore è stata introdotta nel nostro ordinamento dall’art. 62-bis del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, convertito dalla L. 29 ottobre 1993 n. 427e si è, di anno in anno, arricchita di nuove tabelle relative alla grande maggioranza dei settori di attività.
La metodologia usata per l’elaborazione degli studi di settore prevede l’applicazione di tecniche statistiche che consentono di definire, per ciascuna attività economica, gruppi omogenei di contribuenti in base a caratteristiche strutturali e per ciascun gruppo omogeneo una funzione che descrive gli andamenti dei ricavi in relazione alle variabili contabili e strutturali delle imprese.
Ne deriva che se dal confronto dei ricavi dichiarati con quelli presunti con l’applicazione dello studio di settore vi è uno scostamento, l’impresa potrebbe trovarsi ad affrontare o la fase di accesso diretto per la verifica da parte del fisco ovvero un accertamento in rettifica di quanto autonomamente dichiarato.
Gli studi di settore, quindi, costituiscono mezzi di accertamento parziale ricadenti nella previsione di cui all’art. 39 I comma, lettera d) D.P.R. n. 600 del 29.09.1973; ed appartengono al novero dei metodi di rettifica di specifiche poste reddituali, mirando a correggere in aumento i valori dichiarati dei ricavi e dei compensi.
In base alla citata norma (art. 39 I comma lett. d), in presenza di scritture regolarmente tenute, l’esistenza di attività non dichiarate, così come l’inesistenza di passività, può essere desunta anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano contemporaneamente gravi, precise e concordanti
Nel caso in esame, un contribuente, esercente l’attività di panettiere, si era reso destinatario di un accertamento per aver dichiarato un reddito nettamente inferiore, rispetto a quello previsto dallo studio di settore. In primo grado la Commissione Tributaria Provinciale aveva annullato l’atto per la mancata sussistenza del requisito della gravità degli elementi presuntivi posti alla base dell’accertamento. Tale statuizione appellata dall’Agenzia delle Entrate, era stata riformata dalla Commissione Tributaria Regionale in quanto gli elementi presuntivi posti alla base dell’accertamento sembravano invece fondarsi sulle presunzioni “gravi precise e concordanti” costituite dalla esiguità dei ricavi dichiarati dal contribuente (in appena euro 6.562) e perciò dall’entità della loro discrepanza con gli studi del settore di appartenenza”.
Il contribuente proponeva ricorso per la cassazione della sentenza de qua, lamentando la violazione dell’art. 39 del D.P.R. 600/1973, contestando che possano costituire presunzioni gravi, precisi e concordanti gli elementi presuntivi posti a base dell’accertamento, costituiti essenzialmente dall’esiguità dei ricavi e la conseguente discrepanza con gli studi di settore, sulla scorta delle risultanze degli acquisti e delle giacenze.
I Supremi Giudici, nell’accogliere con rinvio il ricorso del Contribuente, hanno ritenuto non lineari le considerazioni svolte dalla Commissione Tributaria Regionale, la quale, omettendo ogni valutazione delle risultanze degli acquisti e delle giacenze effettuata in base ai documenti fiscali esibiti, li ha, comunque, ritenuti elementi “indicativi di una attendibile ricostruzione della realtà commerciale presa in esame e dei ricavi presunti jure et de jure”.
Circa le statuizioni della Commissione Regionale, la Corte è molto critica, osserva infatti come nella sentenza non viene spiegato il riferimento agli studi di settore; inoltre le osservazioni di carattere economico risultano avulse da ogni valutazione circa l’effettiva individuazione delle componenti reddituali ritenute infedeli.
Cassata la decisione impugnata, la vertenza è stata rimessa ad altra sezione della stessa Commissione Tributaria Regionale.

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