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Categoria: Leggi e Diritti | Lunedì 02 Gennaio 2017, Non più del 40%. Ma scusate se è poco. E’ la quota che, a certe condizioni, uno dei due coniugi divorziati può pretendere dal Tfr dell’altro. A quali condizioni? La prima riguarda il calcolo riferito al tempo in cui il lavoro del coniuge è coinciso con il matrimonio. Tanto hai lavorato mentre eravamo sposati, tanto mi spetta (mai, comunque, oltre la soglia del 40% del suo trattamento fine rapporto). C’è poco da piangere: questa percentuale si aggiunge all’assegno di mantenimento e all’eventuale pensione di reversibilità. Sempre che si abbia diritto a tutto quanto.
E’ la legge sul divorzio [1] a stabilire che se un lavoratore ha messo definitivamente la parola “fine” al suo matrimonio deve corrispondere una quota del suo Tfr all’ex marito o all’ex moglie, anche se già versa l’assegno di mantenimento. Sempre che l’altro (o l’altra) non si sia risposato (o risposata). La legge, infatti, recita: «Il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento e di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze, e in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell’art. 5, ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge, all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza. Tale percentuale è pari al 40% dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio».

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