Sezioni Unite: QUANDO IL DIRITTO ALL’OBLIO PREVALE SUL DIRITTO DI CRONACA

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Categoria: Attualita' | Mercoledì 24 Luglio 2019, Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la decisione 19681 pubblicata il 22 luglio 2019, invocate dalla terza sezione civile della stessa Corte di Cassazione hanno enunciato il fondamentale principio di diritto per cui“in tema di rapporti tra il diritto alla riservatezza (nella sua particolare connotazione del cosiddetto diritto all’oblio) il diritto alla rievocazione storica di fatti e vicende concernenti eventi del passato, il giudice di merito – ferma restando la libertà della scelta editoriale in ordine a tale titolo rievocazione, espressione della libertà di stampa e di informazione protetta e garantita dall’articolo 21 della costituzione – il compito di valutare l’interesse pubblico, concreto ed attuale alla menzione degli elementi identificativi delle persone che di quei fatti e di quelle vicende furono protagonisti. Tale menzione deve ritenersi lecita solo nell’ipotesi in cui si riferisca a personaggi che destino nel momento presente l’interesse della collettività, sia per ragioni di notorietà che per il ruolo pubblico rivestito; In caso contrario, prevale il diritto degli interessati alla riservatezza rispetto ad avvenimenti del passato che riferiscano nella dignità e nell’onore e dei quali non si sia ormai spenta la memoria collettiva”.

Il caso tre origine dalla citazione in giudizio di un quotidiano e della giornalista ad opera di chi, 27 anni prima, era stato condannato per omicidio della moglie e aveva scontato una pena detentiva di 12 anni.

In particolare, l’attore contestava che nell’articolo apparso sul quotidiano convenuto, veniva espressamente fatto il suo nome e quello della defunta moglie, in tal modo determinando in lui un profondo senso di angoscia e prostrazione che si era riflesso sul suo stato di salute già precario, provocandogli un notevole danno per la sua immagine e per la sua reputazione, nuovamente esposto ad una nuova “gogna mediatica”.

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello respingevano la domanda, assumendo che non vi era stata nessuna gratuita e strumentale rievocazione del delitto e nessuna volontaria spettacolarizzazione sì da provocare la pretesa offesa triviale o irridente del sentimento umano.
La Corte d’Appello precisava che la pubblicazione dell’articolo era avvenuta allo scopo di offrire, all’interno di una rubrica ben definita e strutturata nel tempo, “una sponda di riflessione per i lettori su temi delicati quali emarginazione, la gelosia, la depressione, la prostituzione, con tutti i risvolti e le implicazioni che queste realtà possono determinare nella vita quotidiana”.
Non vi è stata dunque, secondo la prospettazione del giudice di merito, alcuna volontà di determinare una rinnovata condanna mediatica e sociale e, piuttosto il progetto editoriale deve ritenersi esercizio esclusivo il diritto di cronaca, della libertà di stampa e di espressione così come garantiti dalla costituzione.

Le Sezioni Unite della Cassazione dopo aver rammentato che ad esse non è affidata l’enunciazione di principi generali e astratti o di verità dogmatica del diritto, quanto piuttosto la soluzione di questioni di principio di valenza nomofilattica, per sempre riferibili alla specificità del singolo caso della vita, precisano che quando si parla di diritto all’oblio ci si riferisce, in realtà, ad almeno tre differenti situazioni: quella di chi desidera non vedere nuovamente pubblicate notizie relative a vicende, in passato legittimamente diffuse, quando è trascorso un certo tempo tra la prima e la seconda pubblicazione; quella, connessa all’uso di Internet ed alla reperibilità delle notizie in rete, consistente nell’esigenza di collocare la pubblicazione, avvenuta legittimamente molti anni prima, nel contesto attuale; e quella, infine, trattata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella nota sentenza Google Spain, nella quale l’interessato fa valere il diritto alla cancellazione dei dati.
Il caso portato all’esame nelle sezioni unite costituisce un caso classico, connesso col problema della libertà di stampa e la diffusione della notizia con il mezzo della stampa.
La Suprema Corte precisa dunque che la premessa dalla quale bisogna muovere quando un giornalista pubblica di nuovo, a distanza di lungo periodo di tempo, una notizia già pubblicata, la quale, all’epoca, rivestiva un interesse pubblico, egli non sta esercitando un diritto di cronaca, quanto più precisamente, il diritto alla rievocazione storica di quei fatti (c.d. Storiografia).
D’altro canto, lo stesso termine diritto di cronaca, trae la propria origine etimologica dalla parola greca kpòvos che significa appunto tempo; il che vuol dire che si tratta di un diritto avente ad oggetto il racconto, con la stampa o altri mezzi di diffusione, di un qualcosa che attiene a quel tempo ed è perciò collegato con determinato contesto.

Ciò non significa naturalmente escludere che, laddove intervengano elementi nuovi, tali per cui, la notizia ritorni di attualità, non si debba diffondere quella notizia arricchita dei nuovi elementi sicché possa effettivamente invocarsi la manifestazione del diritto di cronaca.
Laddove al contrario, non intervenga alcun nuovo elemento, significa tornare a diffondere una notizia del passato, anche se di sicuro importanza per allora, si è senz’altro in presenza di un’attività storiografica, che non può godere della stessa garanzia costituzionale prevista per il diritto di cronaca: si tratterà di storiografia ma non certo di cronaca.

Non si tratta dunque di mettere in discussione la scelta di un quotidiano, di un settimanale o di una qualunque altra testata giornalistica, di procedere alla rievocazione storica di fatti ritenuti importanti in un determinato contesto sociale e territoriale (che costituisce certamente manifestazione della libertà di stampa e informazione tutelata dalla costituzione) ma, il giudice di merito dovrà verificare se sussista o meno un interesse qualificato a che la rubrica del quotidiano venga diffusa con riferimenti precisi alla persona che di quella vicenda fu protagonista in un passato più o meno remoto.
L’identificazione personale, che rivestiva un sicuro interesse pubblico nel momento in cui il fatto avvenne, potrebbe divenire irrilevante, per i destinatari dell’informazione, una volta che il tempo è trascorso, quando i fatti, anche se gravi, si siano ormai sbiaditi nella memoria collettiva.

Di tali principi ha fatto buon governo il Testo Unico dei doveri del giornalista, di recente approvazione, che all’articolo 1 nel ribadire che l’attività del giornalista “si ispira alla libertà di espressione sancita dalla costituzione italiana” e che è diritto insopprimibile del giornalista la libertà di informazione e di critica, aggiunge poi il successivo articolo 3, comma 1, che “il giornalista rispetta il diritto all’identità personale ed evita di fare riferimento a particolari relativi al passato, salvo quando essi risultino essenziali per la completezza dell’informazione.” Il successivo articolo 3 comma 2, aggiunge che il giornalista, “nel diffondere a distanza di tempo identificativi del condannato, valuta anche l’incidenza della pubblicazione sul percorso di reinserimento sociale dell’interessato e sulla famiglia”.

In definitiva le Sezioni Unite hanno ribadito la rilevanza costituzionale sia del diritto di cronaca che del diritto all’oblio; quando, però, una notizia del passato, a suo tempo diffusa nel legittimo esercizio del diritto di cronaca, venga ad essere nuovamente diffusa a distanza di un lasso di tempo significativo, sulla base di una libera scelta editoriale, l’attività svolta da giornalista riveste carattere storiografico; di conseguenza il diritto dell’interessato al mantenimento dell’anonimato sulla sua identità personale è prevalente, almeno che non sussista un rinnovato interesse pubblico ai fatti, ovvero, il protagonista abbia ricoperto o ricopra una funzione che lo renda pubblicamente noto.
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