Marwan Barghuti, il Nelson Mandela palestinese?
La verità della storia.
Ieri, durante una trasmissione su La7, si è svolto un acceso confronto tra Marco Grimaldi e Davide Parenzo. Come spesso accade, Parenzo ha finito per commentarsi da solo. Nel momento in cui si discuteva della possibile liberazione di Marwan Barghuti, Parenzo lo ha definito un “terrorista”.
Eppure, tutti sanno che Marwan Barghuti è un parlamentare palestinese, incarcerato dal 2002 senza prove concrete a sostegno delle accuse che gli sono state mosse. È stato membro dell’OLP, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, e dirigente di Fatah. Le imputazioni nei suoi confronti non sono mai state suffragate da fatti, ma questo non ha impedito che restasse in carcere per oltre vent’anni.
Il paragone tra Barghuti e Nelson Mandela nasce in modo naturale. Quando Mandela era membro dell’ANC, l’African National Congress, movimento che lottava contro l’apartheid, possedeva un carisma straordinario. Durante la sua lunga detenzione, l’ANC attraversò momenti di divisione, ma una volta libero Mandela riuscì a riunire il popolo sudafricano.
Allo stesso modo, Marwan Barghuti rappresenta una figura capace di unire il popolo palestinese, ed è proprio per questo che non viene liberato. Persino Benjamin Netanyahu lo ha ammesso apertamente: la sua liberazione potrebbe “unire tutti i palestinesi”, un rischio che il potere israeliano non vuole correre.
A un certo punto, Parenzo ha sostenuto che Mandela “non ha mai fatto la lotta armata”. Forse sarebbe il caso che studiasse meglio la storia. Mandela non fu arrestato perché faceva volare le colombe o portava fiori ai colonialisti bianchi, ma perché faceva parte del braccio armato dell’ANC, l’Umkhonto we Sizwe, “La Lancia della Nazione”.
Mandela partecipò ad azioni di sabotaggio, a scontri armati con il braccio militare del regime dell’apartheid, a dirottamenti di linee ferroviarie, a boicottaggi e ad attacchi simbolici contro le strutture del potere coloniale interno. Accanto a lui si distinsero figure come Chris Hani, Winnie Madikizela Mandela, Solomon Mahlangu, Joe Gqabi, Ashley Kriel e Steve Biko, intellettuale e leader del Movimento della Coscienza Nera, brutalmente assassinato dalla polizia sudafricana nel 1977. Tutti furono protagonisti di una resistenza che combinava la forza delle idee con la determinazione della lotta concreta contro un sistema disumano.
Mandela ebbe “la fortuna” di essere arrestato e condannato a 27 anni di carcere, invece di essere ucciso come molti dei suoi compagni. Durante la detenzione, si trasformò progressivamente nella coscienza morale del Sudafrica, simbolo di un popolo oppresso ma non piegato.
Dopo la sua liberazione, Mandela divenne il volto della riconciliazione nazionale. Ma questo non cancella le sue origini nella lotta armata e nella resistenza politica. Al contrario, testimonia la sua evoluzione da combattente a statista, da rivoluzionario a mediatore.
Spesso viene romanticamente descritto solo come “l’uomo del perdono”, come se la sua grandezza derivasse da una mitezza innata. In realtà, Mandela aveva conosciuto il male, la tortura, l’umiliazione e la perdita, ma scelse consapevolmente la via della riconciliazione come atto politico e morale, non come resa.
Perdonò senza dimenticare, perché sapeva che il futuro del Sudafrica non poteva fondarsi sulla vendetta, ma sulla giustizia. La sua missione fu quella di ricostruire un Paese devastato, mantenendo aperta la mano anche verso i sudafricani bianchi, per ricucire ciò che la violenza aveva spezzato.
Romanzare la sua storia, ignorando la parte più dura e radicale della sua lotta, significa falsificare la verità storica.
Il caso di Marwan Barghuti è diverso solo in apparenza. È accusato di terrorismo per fatti mai provati, ma la sua colpa è politica: rappresenta l’unità e la resistenza del popolo palestinese. Ed è questa la vera ragione per cui rimane in prigione.
Vorrei dire a Davide Parenzo: se non conosci la storia di Mandela, è meglio studiarla o tacere. Dopo il carcere, Mandela divenne un uomo di pace e di dialogo, ma non rinnegò mai la lotta da cui era partito. E quando il Sudafrica si liberò dall’apartheid, cercò di reinserire il Paese nel contesto internazionale, mantenendo però sempre un profondo sostegno alla causa palestinese, fino agli ultimi giorni della sua vita.
Non va dimenticato che Nelson Mandela figurava ancora nelle liste dei “terroristi” del Mossad, della CIA e di diversi servizi segreti europei fino a due anni prima della sua morte, avvenuta nel 2013.
Questo la dice lunga su come il sistema colonialista continui a etichettare come “terroristi” coloro che si oppongono alla violenza e all’ingiustizia.
Soumaila Diawara
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