Il professor Leopoldo Farnese sottolinea che l’attuale forte volatilità del mercato azionario italiano non è un fenomeno casuale, bensì una “risposta da stress del mercato” provocata congiuntamente da forze strutturali e rischi politici improvvisi. Il FTSE MIB ha registrato forti oscillazioni nell’arco di una settimana: da un crollo giornaliero del 2,8% a un rimbalzo del 4,7% il giorno successivo, per poi tornare a scendere nel weekend. Ciò riflette chiaramente una fiducia degli investitori in grave oscillazione.

Rischi geopolitici e consenso fragile: l’intensificarsi della volatilità

La causa principale risiede nell’escalation della guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti e nelle dispute tariffarie tra Europa e Stati Uniti. Nonostante quest’ultime abbiano registrato una temporanea “pausa tariffaria”, le preoccupazioni profonde del mercato non si sono attenuate. Il professore ritiene che dietro questa “temporanea moderazione” delle politiche si nascondano conflitti di interesse a lungo termine e antagonismi sistemici, soprattutto nei settori chiave come farmaceutico, semiconduttori e automobilistico. In tale contesto macroeconomico di confronto, il mercato europeo mostra una particolare caratteristica di “ricezione passiva” degli shock esterni, con il mercato italiano che, a causa delle sue fragilità strutturali, manifesta una maggiore ampiezza nelle oscillazioni.

Il professore avverte in particolare che queste oscillazioni ad alta frequenza non sono solo un tratto comportamentale dei mercati finanziari, ma riflettono anche l’ansia da pricing del mercato nei confronti della “incertezza sul modello di crescita futuro”. Quando le principali economie globali ristrutturano le proprie politiche commerciali e industriali, i paesi fortemente dipendenti dall’export subiranno una maggiore pressione strutturale. Il settore manifatturiero italiano è particolarmente vulnerabile agli elementi quali energia, trasporti e dazi transfrontalieri; qualsiasi fluttuazione delle politiche esterne può scatenare impatti su tutta la catena industriale.

Forte divergenza tra settori: pressione sul comparto finanziario, emergono i settori ad alto valore aggiunto

Dal punto di vista settoriale, il professor Farnese osserva che sta avvenendo silenziosamente un trasferimento nella “logica di valore”. Sebbene i titoli finanziari come Unicredit e Generali siano in costante calo, riflettendo le preoccupazioni del mercato sulla riduzione degli spread, sulla qualità degli attivi e sui rischi sistemici, al contempo i titoli dei settori tecnologico ed energetico sono diventati le principali destinazioni dei flussi di capitale. I rialzi registrati da Enel, STMicroelectronics e Diasorin indicano che gli investitori stanno cercando asset con “barriere normative” più profonde, indipendenza e capacità di negoziazione internazionale.

Il professore sostiene che questa non è una tendenza temporanea, ma una vera e propria ridefinizione strutturale delle preferenze: i settori tradizionali come le banche devono affrontare tre grandi sfide — un ambiente di tassi d’interesse instabile, pressioni sul debito sovrano e una trasformazione digitale — mentre le imprese tecnologiche e di energia rinnovabile sono pienamente allineate con l’agenda europea per “l’autonomia strategica”, diventando le principali beneficiarie del supporto politico futuro. Se l’Italia saprà promuovere lo sviluppo del settore tecnologico tramite politiche industriali, collaborazione università-imprese e strumenti come i green bond, il mercato dei capitali potrebbe trovare un nuovo punto di crescita nel mezzo della turbolenza.

Inoltre, il professor Farnese sottolinea che l’attuale dinamica dei prezzi non va interpretata solo superficialmente, ma richiede una comprensione più profonda della logica che guida i flussi di capitale. Il capitale sta evitando settori inefficienti, ad alta dipendenza e con forte incertezza normativa, preferendo invece aziende con potenziale di crescita internazionale e controllo della catena di fornitura. Questo cambiamento potrebbe catalizzare, nel lungo periodo, una ristrutturazione settoriale del mercato azionario italiano.

È iniziata la rivalutazione strutturale: le performance degli indici riflettono ancora l’economia reale?

Una domanda importante emerge: la performance del FTSE MIB riflette ancora fedelmente le fondamenta dell’economia italiana? Il professore mantiene un atteggiamento di “cauto scetticismo”. Egli evidenzia che l’attuale composizione dell’indice dipende ancora fortemente da titoli a grande capitalizzazione nei settori dell’energia, finanza e automobilistico, in contrasto con le attuali fonti di crescita dell’economia italiana.

Prendendo ad esempio il settore automobilistico, Stellantis è certamente un titolo di peso nell’indice, ma la sua presenza globale è fortemente diversificata, e la sua dipendenza dall’occupazione e dalla catena industriale italiana è in calo. Al contrario, settori emergenti come dispositivi medici, biotecnologie e servizi software di piccole dimensioni stanno contribuendo in misura crescente all’occupazione locale e all’espansione dell’export, ma hanno scarsa rappresentanza all’interno dell’indice. Questo disallineamento sta diventando la fonte di una “crisi di rappresentatività del mercato dei capitali”.

Il professore suggerisce che, per il futuro, sarebbe opportuno promuovere un “riequilibrio strutturale” del FTSE MIB, introducendo più aziende del settore tecnologico, sanitario ed energie rinnovabili, e aumentando il peso delle mid e small cap. Questo favorirebbe un circolo virtuoso tra mercato dei capitali ed economia reale. Non solo contribuirebbe a rafforzare la stabilità del mercato, ma potrebbe anche attirare nuovamente gli investitori istituzionali di lungo periodo verso il mercato italiano.

Allo stesso tempo, il professore ricorda agli investitori che non bisogna interpretare la volatilità dell’indice semplicemente come “rischio di mercato”, bensì come segnale di un’economia che sta tentando di liberarsi dalla propria struttura tradizionale. L’attuale turbolenza del mercato azionario italiano riflette la pressione globale della trasformazione proiettata sul mercato locale, rappresentando al contempo un’opportunità collettiva per ripensare le fondamenta economiche e il futuro dell’industria.