I cinesi, così come i francesi, gli inglesi, gli americani e i russi, sanno bene che l’Africa è ricca di materie prime: parliamo di petrolio, gas, carbone ma anche di risorse minerarie come oro, diamanti e litio. Quest’ultimo è indispensabile per la transizione ecologica, in quanto permette di costruire veicoli elettrici. Di fronte a ciò, ogni grande potenza ha un approccio differente: in passato, Francia e Gran Bretagna hanno cercato di impossessarsi di tali risorse con la forza; poi, gli Stati Uniti hanno fornito aiuti allo sviluppo, per ottenere in cambio materie prime, mentre la Russia ha investito sul rafforzamento degli eserciti (uscirà un focus anche su questo). L’approccio cinese invece è molto diverso e, soprattutto, ha poco a che fare con la politica di un determinato paese. È più pragmatico: non importa chi sia al governo, cosa stia facendo e di chi sia alleato. Ciò che conta è che il paese abbia materie prime che la Cina è in grado di controllare.
Ora, la Cina esporta in Africa ben più di quanto importa. Ad esempio, se andiamo a vedere l’importazione di petrolio dall’Africa, notiamo che nel periodo 2019-2023 c’è stato persino un decremento da parte dei maggiori esportatori di petrolio verso la Cina, come Angola (-20%), Gabon (-45%), Camerun (-52%), Libia (-54%), Nigeria (-61%), Sudan (-67%) e Sud Sudan (-77%). In alcuni casi parliamo di una discesa importante, controbilanciata solo dal boom del Chad con un +78%. Se però andiamo a vedere l’export di minerali e metalli dall’Africa verso la Cina, si nota un boom: passiamo dai 15B di $ nel 2010 ai 50B di $ nel 2021. E non solo: la Cina sta costruendo centrali atte a raffinare il litio. Nel 2023, sono state costruite in Zimbabwe, Nigeria e Marocco. Un altro aspetto riguarda le materie prime agricole: la Cina importa il 30% degli avocado prodotti in Kenya, e parte del caffè prodotto in Etiopia e in Ruanda.
Ovviamente, per poter estrapolare materie prime, c’è bisogno di avere adeguate infrastrutture per trasportarlo. Per questo, la Cina ha investito in asfaltatura delle arterie stradali, ma anche in costruzione di ponti, ferrovie e ammodernamento di porti per ampliarne la capacità. Per fare esempi concreti, i cinesi hanno interessi nel porto di Port Sudan, importante nodo nel mar Rosso, e per questo stanno costruendo una ferrovia che colleghi la città costiera con la capitale Khartoum. O ancora, vista l’influenza che la Cina ha nel porto di Djibouti, è stata recentemente inaugurata una ferrovia che collega la città ad Addis Abeba, capitale dell’Etiopia, il più grande paese africano senza sbocco sul mare. Un altro esempio riguarda l’ampliamento del porto di Dar es Salaam, in Tanzania, che rappresenta un punto nevralgico del commercio anche per paesi confinanti come Uganda, Ruanda e Burundi. Infine, la Cina sta dando contributi ad alcuni paesi anche per asfaltare le strade.
Un altro settore in cui la Cina sta investendo è quello energetico. L’obiettivo è quello di dotare i paesi di energie rinnovabili, in particolar modo di energia solare, eolica e idroelettrica, in modo da stabilizzare la fruizione di corrente elettrica nelle zone di cui ha bisogno. In questo modo, la Cina può aiutare i paesi a lavorare sulla transizione verde, e può assicurarsi il controllo di parte dell’energia dei paesi. Infine, un altro investimento cinese è a favore delle banche locali: la Cina concede prestiti e liquidità in modo da rendere il più stabili possibili i paesi africani. Stabilità finanziaria vuol dire maggiori possibilità di investimento, ma può anche voler dire aumentare la dipendenza di questi paesi. Per questo può essere rischioso.
Per concludere, l’aumento dell’influenza cinese in Africa è un aspetto positivo o negativo? Se guardiamo il fine, in effetti si tratta di un’operazione molto egoistica: la Cina vuole estrapolare altre risorse dal continente africano e aumentare la propria influenza nei paesi, in quello che può quasi sembrare un colonialismo gentile. Al contempo, però, non si può che valutare positivamente la costruzione di infrastrutture nel continente, perché si tratta di un buon modo per permettere ai paesi di svilupparsi. Possiamo quindi dire che “il mezzo giustifica il fine”? Non proprio: anche se molti paesi africani dichiarano di volersi emancipare dalle potenze europee per ottenere maggiore sovranità, anche quella cinese rappresenta una limitazione, per l’influenza che la Cina vuole avere su alcuni paesi. Quindi, come si è detto per anni per i paesi europei, un’entità in grado di rappresentare i paesi africani insieme può controbilanciare questa influenza. Esiste già l’Unione Africana, nata nello spirito del panafricanismo che però deve rafforzarsi, ed esistono realtà locali come l’ECOWAS (Comunità Economica degli stati dell’Africa Occidentale) e l’EAC (Comunità est africana), in grado di avere potenzialità economiche. Ovviamente, ogni processo deve iniziare dal basso e non può essere imposto dall’alto.