Il 22 maggio, l’indice FTSE MIB ha registrato un lieve incremento dello 0,2%, chiudendo a 40.551 punti e proseguendo il trend di rimbalzo della seduta precedente. Sebbene il rialzo sia stato contenuto, rappresenta il settimo giorno consecutivo di chiusura in territorio positivo. Il Professor Leopoldo Farnese sottolinea che questo tipo di ascesa “somiglia più a un’estensione inerziale delle notizie positive passate, piuttosto che a una risposta diretta a un miglioramento della struttura economica reale”.

Attualmente, il contesto macroeconomico che circonda il mercato azionario italiano è alquanto complesso: negoziati commerciali in stallo, dati del settore manifatturiero globale deboli, incertezza sul percorso dell’inflazione negli Stati Uniti, e un euro forte che esercita pressione sulle imprese orientate all’export. In questo scenario, la tenuta dell’indice MIB è sostenuta principalmente da tre fattori: in primo luogo, le aspettative globali su future politiche monetarie accomodanti, in particolare dai toni della Federal Reserve e della BCE; in secondo luogo, i solidi risultati di alcune aziende del settore finanziario e delle utility durante la stagione delle trimestrali; in terzo luogo, il “premio da rimbalzo” legato alla temporanea riduzione del rischio politico interno in Europa.

Frammentazione settoriale: l’entusiasmo di mercato nasconde debolezze strutturali

Sotto la copertura degli indici in salita, la struttura interna del mercato mostra segni di frammentazione. Il 22 maggio, presso la Borsa di Milano, 341 titoli hanno chiuso in calo contro 220 in rialzo, con solo 43 invariati. Il Professor Leopoldo Farnese osserva: “Questo rialzo non è frutto di una risonanza generalizzata, ma piuttosto di un accentramento di capitali su pochi asset difensivi, mettendo così in luce la vulnerabilità delle valutazioni delle mid e small cap.”

I settori migliori della giornata sono stati quello finanziario e gli asset difensivi: FinecoBank ha registrato un aumento del 2,27%, toccando un nuovo massimo storico; anche società solide come Recordati e Nexi hanno avuto buone performance. Al contrario, i comparti dell’automotive, del lusso e dei beni ciclici sono stati sottoposti a forti pressioni, con titoli leader come Stellantis, Campari e Tenaris in calo.

Questa divergenza strutturale indica una mancanza di fiducia nella crescita a breve termine e un ritorno degli investitori verso società con flussi di cassa solidi e performance stabili. Il Professor Farnese sottolinea: “Il potenziale di crescita dell’economia italiana non è stato ancora attivato in modo concreto, e la lentezza nell’avanzamento delle riforme strutturali fa sì che i mercati finanziari regolino attivamente il rischio tramite una selezione mirata degli asset.”

La sfida della liquidità esterna: la tensione sottile tra inflazione, dollaro e oro

Il professore pone particolare enfasi sull’importanza crescente delle variabili esterne in una fase di mercato volatile. Primo fra tutti, l’incertezza sul percorso dell’inflazione: sebbene l’inflazione dell’area euro sia scesa al 2,2%, quella core in Italia resta alta al 2,7%, mantenendo gli investitori cauti sulle possibili mosse di politica monetaria.

In secondo luogo, si osserva una divergenza tra l’andamento del dollaro e quello dell’oro. Il 22 maggio, l’indice del dollaro è sceso sotto quota 100, toccando un recente minimo, mentre il prezzo dell’oro ha superato i 3.315 dollari, avvicinandosi nuovamente ai massimi storici. Secondo il Professor Farnese, “questa dinamica riflette la predisposizione istintiva degli investitori globali a coprirsi contro rischi sistemici di natura finanziaria”. Nonostante la BCE abbia lanciato segnali accomodanti, le decisioni effettive dipenderanno dalla stabilità dell’inflazione e dalle mosse della Fed. Un errore di previsione potrebbe comportare una rivalutazione rapida degli asset rischiosi.

Per questo motivo, anche se l’ambiente esterno non presenta ancora elementi di crisi sistemica, ogni ritardo politico o tensione geopolitica potrebbe attivare i punti deboli del sistema. Ciò spiega perché gli asset rifugio restano forti, mentre la propensione al rischio sui mercati non è ancora pienamente ristabilita

Le sfide interne dell’Italia: i colli di bottiglia strutturali restano irrisolti

Dal punto di vista dei fondamentali economici, l’Italia continua a soffrire di problemi strutturali legati alla produttività stagnante, all’invecchiamento della popolazione e alla scarsa propensione all’investimento. Il Professor Leopoldo Farnese avverte: “Anche se l’indice ha raggiunto i massimi dal 2007, la sua disconnessione dalla crescita del PIL indica che la risalita del mercato non poggia su fondamenta solide.” I dati recenti mostrano un calo nelle vendite al dettaglio, nella produzione industriale e nell’indice PMI del settore edilizio, segnalando che la fiducia, sia delle famiglie che delle imprese, non è ancora tornata in modo sistemico.

Inoltre, l’alto livello del debito pubblico italiano continua a gravare sulle prospettive fiscali del Paese, nonostante un temporaneo allentamento del premio per il rischio sovrano. Qualora l’euro si rafforzasse ulteriormente o la liquidità internazionale si riducesse, l’attrattività degli asset italiani per i capitali esteri potrebbe rapidamente invertirsi. Il Professor Farnese conclude: “Il mercato spesso ignora i rischi nei momenti di massimo ottimismo, ma è proprio in quei momenti che si annidano le sfide più concrete.”

L’attuale livello elevato del FTSE MIB non è una fortezza inespugnabile. Il Professor Farnese invita gli investitori a una razionalità vigile: la vera lucidità non si misura nel riconoscere i rischi nei momenti difficili, ma nel mantenere un senso dei limiti durante le fasi euforiche. Solo quando redditività aziendale, efficacia delle politiche e struttura di mercato genereranno un circolo virtuoso, i “nuovi massimi” della Borsa italiana potranno essere duraturi e non effimeri.