Mi interesso di InfoSec, personal data protection (“privacy”, se si intende in senso ampio e non solo confinato alla dimensione della riservatezza dell’informazione), technology-law (o cyberlaw), il mondo Linux, varie ed eventuali. Le cose che mi appassionano sono anche il mio lavoro. Avrete ormai capito: lavoro ed amo il settore delle “varie ed eventuali”.

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  • @filippodb @sicurezza da anni uso Vivaldi e debbo affermare che, nel tempo, la mia esperienza d’uso e soddisfazione sono costantemente aumentate. Pur essendoci un’impresa privata dietro a questo browser, l’attenzione nel rendere prioritaria la correttezza nel trattamento dei dati personali dell’utente e nel mettere al centro di tutto la privacy di quest’ultimo appaiono decisamente fuori dal comune (il paragone è con le altre società presenti sul mercato). Volendo essere molto trasparenti e corretti nei riguardi dell’utente, hanno guadagnato la mia fiducia (nonostante Vivaldi sia un browser parzialmente cloused source). Lo consiglio pienamente (e Vivaldi non mi paga per farlo, ci tengo a chiarirlo).




  • @prealpinux @internet grazie per la risposta, anzitutto; è sempre un piacere confrontarsi insieme e porsi dei quesiti. Parto dalla fine: se il concetto di “servizio” si instaurasse nel momento in cui dei miei dati la società facesse un uso a fini commerciali, allora significa che Meta, nella sua prima interpretazione del GDPR, aveva ragionissima: il servizio che mi viene offerto è quello di offrirmi pubblicità mirata, e quindi non avrebbe alcuna necessità di chiedermi un consenso in tal senso, ma varrebbe la base giuridica del contratto (art. 6 lettera B GDPR). A mio avviso, questa impostazione si scontra col fatto che, quando mi iscrivo a LinkedIn, Facebook, X, non lo faccio certo per avere degli annunci pubblicitari; lo faccio perché voglio un servizio di social network e la mia volontà contrattuale va esclusivamente in quel senso, così come con l’iscrizione ad un’istanza Mastodon. Altra questione che si pone: se io ho venduto i miei dati a Meta, ecc., in modo equivalente ad una dazione di denaro, posso ancora affermare che quei dati sono miei (e voler mantenere un controllo sugli stessi, così come vorrebbe il GDPR)? Se ho pagato con i miei dati, quei dati sono diventati proprietà della società che mi ha venduto il servizio, quindi diventa legittimo che li usi come vuole (recrius, investa quel bene che ho ceduto)


  • @prealpinux @tecnologia l’immissione di dati “personalissimi” in programmi come gli assistenti digitali o le chat private è praticamente connaturato alla funzione di queste applicazioni. Ammesso che non abbiano accesso ad altre info raccolte dal dispositivo, a meno di non fornire in input solo argomenti di cultura generale altamente diffusi tra il pubblico, l’utente è portato a fornire sempre, volontariamente o involontariamente, informazioni molto private (ad es., gusti personali, sensibilità verso temi sociali o politici verso il quale si vogliono fare degli approfondimenti, informazioni sul luogo o sul contesto specifico ove l’utente si trova - e ben potrebbe essere un ospedale). Non so, mi sembra una foglia di fico e non pienamente “corretto” l’informare l’utente che il comportamento che terrà interagendo col sistema di IA dovrebbe essere quello che egli terrebbe in un contesto di monitoraggio del suo comportamento.