Per l’Agenzia delle Entrate l’apertura di un account su una piattaforma che utilizza i dati personali degli utenti per generare ricavi equivale ad una operazione imponibile soggetta ad IVA. Per questo il fisco italiano ha chiesto più di un miliardo di euro a X, Meta e Linkedin. 💶
@alessandropaoletti @internet L’articolo non è chiarissimo su questo punto, ma penso proprio che per arrivare alla richiesta economica dell’Agenzia delle Entrate siano state fatte delle stime del valore generato dai dati personali degli utenti.
Relativamente alla tua ultima domanda: se ti trovi su un server Mastodon i tuoi dati non vengono rivenduti ad aziende… Per questo motivo non si prefigurerebbe una compravendita e quindi nemmeno una eventuale applicazione IVA.
@prealpinux @internet grazie per la risposta, anzitutto; è sempre un piacere confrontarsi insieme e porsi dei quesiti. Parto dalla fine: se il concetto di “servizio” si instaurasse nel momento in cui dei miei dati la società facesse un uso a fini commerciali, allora significa che Meta, nella sua prima interpretazione del GDPR, aveva ragionissima: il servizio che mi viene offerto è quello di offrirmi pubblicità mirata, e quindi non avrebbe alcuna necessità di chiedermi un consenso in tal senso, ma varrebbe la base giuridica del contratto (art. 6 lettera B GDPR). A mio avviso, questa impostazione si scontra col fatto che, quando mi iscrivo a LinkedIn, Facebook, X, non lo faccio certo per avere degli annunci pubblicitari; lo faccio perché voglio un servizio di social network e la mia volontà contrattuale va esclusivamente in quel senso, così come con l’iscrizione ad un’istanza Mastodon. Altra questione che si pone: se io ho venduto i miei dati a Meta, ecc., in modo equivalente ad una dazione di denaro, posso ancora affermare che quei dati sono miei (e voler mantenere un controllo sugli stessi, così come vorrebbe il GDPR)? Se ho pagato con i miei dati, quei dati sono diventati proprietà della società che mi ha venduto il servizio, quindi diventa legittimo che li usi come vuole (recrius, investa quel bene che ho ceduto)
@alessandropaoletti @prealpinux @internet credo che la questione sia banalmente più terra-terra. Se un social ha mille utenti ha un importo pubblicitario poniamo di 10, se un social ha un milione di utenti l’introito pubblicitario sale a 100. Non ha importanza la qualità del dato, ma piuttosto la quantità. Che io mi iscriva ad un social fornendo le mie vere generalità oppure false non ha importanza, sono cmq sottoposto agli annunci pubblicitari.
@ulisse62 @prealpinux @internet Ti ringrazio molto per l’intervento. Comprendo il punto di vista che esprimi, ma rimango dubbioso rispetto alle basi dalle quali potremmo ipotizzare l’AE muova per articolare il proprio ragionamento. Il fine è quello di far sì che le grandi imprese di servizi di social network versino importi molto più consistenti all’Erario, ma il rischio è che si finisca per introdurre soluzioni ermeneutiche che indeboliscono la posizione del singolo (l’interessato, ai sensi dell’art. 4 n. 1 GDPR) e che chiudono rispetto a modelli non basati sulla monetizzazione del dato: se la fornitura di dati in sede di iscrizione ad un social è il corrispettivo per la fornitura di un servizio (la possibilità di utilizzare il social), che il fornitore del servizio investa il quantum ricevuto o meno (leggasi: venda i dati per monetizzare in senso economicamente tradizionale oppure no) non è rilevante; il presupposto d’imposta è la fornitura di un corrispettivo economico per un servizio, non l’investimento successivo.
@prealpinux @internet Si passerebbe alla concezione dell’informazione come bene che è tipica dell’ordinamento statunitense; e, così facendo, tutti i principi generali del nostro GDPR verrebbero smentiti.